Mediazione e gratuito patrocinio: le novità introdotte dalla Riforma Cartabia

Per incentivare il ricorso alla mediazione e alla negoziazione assistita, la Riforma Cartabia ha finalmente riconosciuto con certezza il diritto della parte di beneficiare del gratuito patrocinio, a prescindere dal fatto che la procedura stragiudiziale sia seguita o meno dall’introduzione di un giudizio.(101mediatori.it)

Le novità
Il D.M. Giustizia 1° agosto 2023pubblicato in Gazzetta il 7 agosto 2023, ha fissato i criteri per la determinazione, la liquidazione ed il pagamento dei compensi dell’avvocato in caso di ammissione al gratuito patrocinio del proprio Assistito.

In caso di conclusione con un accordo delle procedure di mediazione o di negoziazione assistita l’avvocato ha diritto al compenso nella misura prevista dal decreto parametri all’art. 20 comma 1 bis, ridotto della metà.

L’annosa questione dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato
La Corte di Cassazione, con sentenza 31.8.2020 n.18123 aveva confermato l’esclusione del gratuito patrocinio per l’attività stragiudiziale in generale, precisando che non spetta il beneficio del gratuito patrocinio nel caso in cui alla mediazione non segue il giudizio.

L’annosa questione ha trovato soluzione con la sentenza 20.1.2022 n. 10 della Corte Costituzionale.

Con tale sentenza la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli art. 74, comma 2, e 75, coma 1, del dPR n.115 del 2002, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito del procedimento di mediazione quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo.

I criteri stabiliti dal decreto del 1 agosto 2023
In linea con la citata sentenza della Corte costituzionale, con decreto 1° agosto 2023 sono stati dettati i criteri per la determinazione, liquidazione e pagamento, anche mediante riconoscimento di credito di imposta, dell’onorario spettante all’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione e di negoziazione assistita.

In particolare, con il menzionato decreto sono stabiliti gli importi spettanti all’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a titolo di onorario e spese, e la disciplina delle modalità di presentazione della richiesta di riconoscimento del corrispondente credito di imposta o di pagamento del relativo importo.

Il menzionato decreto prevede art. 4) che all’avvocato che assiste la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti di mediazione e negoziazione assistita che si sono concluse con un accordo, spetta il compenso previsto dall’art. 20, comma 1-bis del decreto parametrico 10.3.2014 n. 55, ridotto alla metà.

Modalità di presentazione della richiesta di credito di imposta
L’istanza di conferma dell’ammissione anticipata al patrocinio a spese dello Stato deve essere presentata tramite piattaforma accessibile, con SPID o CIEId almeno di livello due e CNS, dal sito giustizia.it e dovrà contenere:
gli estremi identificativi del COA che ha ammesso la parte al patrocinio a spese dello stato,
le generalità della parte assistita, il valore e la data di sottoscrizione dell’accordo sulla base del quale è stato calcolato il compenso,
l’indicazione della materia, il numero del procedimento di mediazione o gli estremi della ricevuta di trasmissione sulla piattaforma del Consiglio Nazionale Forense dell’accordo di negoziazione,
la dichiarazione di volontà del richiedente di avvalersi del credito di imposta o in alternativa, del pagamento.
Il decreto 1.8.2023 prevede espressamente specifici controlli e verifiche sia da parte del Consiglio dell’Ordine (art. 6) che dal Ministero (art. 7).

In ordine alle verifiche e comunicazioni del consiglio dell’Ordine il decreto (art. 6) statuisce che il COA ricevuta l’istanza, se accerta che non ricorrono i presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunica sulla piattaforma del sito del Ministero della giustizia, l’esito negativo della domanda.

Il COA se accerta la ricorrenza dei requisiti di legge, verificata la corrispondenza tra il valore dichiarato nell’accordo e il valore del compenso richiesto conforme a quanto previsto dal decreto 1.8.2023, appone il visto di congruità, adottando la delibera di congruità e annotandola sulla piattaforma.

In ordine alle verifiche e provvedimenti del Ministero, l’art. 7 statuisce che, ricevuta la comunicazione, il Ministero:
se ritiene insussistenti i presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ne dà immediata comunicazione al COA per gli adempimenti di competenza;
se ritiene sussistenti i presupposti della richiesta, effettuate le verifiche ritenute necessarie, con apposito provvedimento convalida la delibera di congruità e riconosce l’importo spettante all’avvocato, dandone comunicazione all’avvocato e al COA;
nel caso in cui, effettuate le verifiche ritiene di non convalidare la delibera, ne dà comunicazione al COA e all’avvocato; entro sessanta giorni da tale comunicazione (negativa) l’avvocato può presentare nuova istanza.

Termini per la presentazione della domanda di riconoscimento del credito di imposta
L’avvocato deve emettere fattura elettronica. Se ha optato per il pagamento dell’importo, la fattura elettronica sarà intestata al Ministero e completa di codice IPA.

Il Ministero emetterà il mandato di pagamento nell’ambito delle risorse iscritte nell’apposito capitolo di bilancio del Ministero della Giustizia.

Se invece l’avvocato ha optato per il credito di imposta, dovrà emettere fattura elettronica e presentare istanza di riconoscimento del credito di imposta, a pena di inammissibilità, tra il 1° gennaio e il 31 marzo, oppure tra il 1° settembre e il 15 ottobre di ciascun anno.

Il credito di imposta sarà utilizzabile in compensazione tramite modello F24, presentato esclusivamente tramite i servizi telematici messi a disposizione dalla Agenzia delle Entrate.

Conclusioni
Finalmente le novità portate dalla Riforma Cartabia in merito al gratuito patrocinio in mediazione ha posto fine alla oscillante giurisprudenza sui criteri di liquidazione del compenso in parola ed anche sulla spettanza o meno del compenso. Un altro passo avanti nell’incentivazione di questo prezioso strumento che è la mediazione.

Le azioni di inefficacia degli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento e le azioni revocatorie non sono soggette alla mediazione obbligatoria

Le azioni di inefficacia degli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento e le azioni revocatorie non sono soggette alla mediazione obbligatoria e, pertanto, la domanda di refusione delle spese di mediazione risulta priva di fondamento.

Le azioni di inefficacia degli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento e le azioni revocatorie non sono soggette alla mediazione obbligatoria e, pertanto, la domanda di refusione delle spese di mediazione risulta priva di fondamento. (101mediatori.it)

Tribunale di Roma, 06.03.2023, sentenza n. 3607, giudice Estensore Marco Genna

Il caso in esame riguarda una vertenza in materia di azione di inefficacia ex artt. 42 e 44 l. fall. promossa dal curatore del fallimento nei confronti dell’Istituto di Credito convenuto, a seguito di una serie di operazioni di accredito e di addebito effettuate dopo la dichiarazione di fallimento.

Il giudizio era stato preceduto da una mediazione conclusasi con esito negativo e per la quale parte attrice chiedeva la condanna della convenuta alla refusione delle spese anticipate.

In merito, il Tribunale ha così statuito:

  • parte attrice ritiene che l’esperimento del tentativo di mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda ex art. 44 l. fall.;
  • tale presupposto è errato in quanto la materia delle azioni di inefficacia (così come quelle revocatorie) non rientra nell’elenco delle materie soggette a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1 D. L. vo 28/2010;
  • di conseguenza, nel caso di specie l’esperimento del procedimento di mediazione non costituisce affatto condizione di procedibilità della domanda giudiziaria.

Per tali ragioni, il Tribunale non ha accolto la domanda della curatela di condanna della Banca convenuta a rifonderle le spese anticipate per la mediazione.

Mediazione e riservatezza: limite o risorsa?

Come noto, il rispetto del principio della riservatezza, è uno dei fulcri cardine che regolano la Mediazione. Tale obbligo, imposto del legislatore, è un limite o una risorsa? Come si relazionano Parti e Mediatore rispetto a tale principio? E quali sono i confini che incontra il principio di riservatezza? Analizziamo le diverse sfaccettature che orbitano intorno a tale fondamentale principio.
Mediazione e riservatezza: limite o risorsa? (101mediatori.it)

La normativa.

 L’obbligo di riservatezza, che concerne le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite durante il procedimento, è regolato dagli artt. 9 e 10 comma 1 del Decreto legislativo 2010 n° 28.

I limiti imposti al Mediatore.

Il mediatore è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di conciliazione.
Nella sostanza, dunque, il Mediatore:

  • non potrà divulgare a terzi estranei alla mediazione cosa è avvenuto durante gli incontri;
  • non potrà riferire ciò che gli è stato detto da una delle parti coinvolte nella procedura, se ciò è stato riferito in assenza della controparte salvo che non ci sia il consenso del dichiarante.
  • non potrà essere chiamato a testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione.

I limiti imposti alle Parti. 

Ovviamente l’obbligo di riservatezza non riguarda soltanto il mediatore: anche le parti direttamente coinvolte nella procedura e i loro rispettivi avvocati devono mantenere il riserbo su ciò che è avvenuto in mediazione.
Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto, salvo consenso della parte. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.
 
Il principio di riservatezza: risorsa imprescindibile.

Analizzati sinteticamente i limiti imposti agli attori della mediazione, vediamo insieme perché il principio in esame debba, in realtà essere considerato una grande risorsa.
Questo perché in Mediazione – a differenza di quanto avviene in Tribunale – tutto quello che le parti dicono non può essere utilizzato fuori dalla procedura. 
È chiaro come ciò consenta alle parti di poter giocare a “carte scoperte”, mirando in tal modo a trovare un accordo che soddisfi i reali interessi e non discutendo esclusivamente di pretese giuridiche.
Ma vi è di più. In Mediazione, infatti, il mediatore ha la facoltà di svolgere delle sessioni separate con ciascuna parte e il proprio Avvocato.
In tali sessioni sarà possibile affrontare alcuni temi della controversia in un ambiente più riservato. Possono esistere infatti delle informazioni che la parte ha piacere di condividere con il Mediatore ma che preferisce tenere celate alla propria controparte.
Le sessioni separate sono spesso uno strumento imprescindibile per la buona riuscita di ogni Mediazione proprio per questi motivi. Anche in questi casi la parte che si confida col Mediatore è tutelata dal principio di riservatezza della Mediazione. Le informazioni che si acquisiscono durante questi incontri non possono essere riportate alla controparte se non con l’espressa autorizzazione di chi le ha fornite e nei limiti di quanto autorizzato.
Le sessioni separate, che permettono l’ascolto delle informazioni confidenziali, sono l’aspetto distintivo della mediazione dal processo e, se utilizzate in modo produttivo, permettono di individuale l’area comune di negoziazione e risolvere anche situazioni a prima vista impossibili. 
Risulta dunque molto importante potersi fidare del mediatore e parlare con lui in massima trasparenza affinché questi possa intuire il percorso più adatto per dare soddisfazione agli interessi delle parti.

Le deroghe al principio di riservatezza. 

Poiché tali norme sono state introdotte a tutela delle parti, dalle stesse, singolarmente e/o di comune accordo, possono essere derogate, rientrando pienamente nella loro disponibilità negoziale. 
È anche possibile che, nel caso delle sessioni separate, la parte autorizzi il mediatore a comunicare all’altra il contenuto delle dichiarazioni e delle informazioni o che nel caso di un successivo processo siano utilizzabili le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione se vi è il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.
Altra ipotesi in cui incontriamo una possibile deroga al principio di riservatezza si riferisce al caso in cui venga espletata una Consulenza Tecnica nell’ambito della Mediazione.
In caso di mediazione con esito positivo la relazione del Consulente dovrebbe essere accettata dalle parti e divenire il presupposto dell’accordo, mentre, in caso di mediazione negativa, il suo contenuto dovrebbe rimanere riservato, salvo che le parti non ne concordino l’utilizzo nel successivo giudizio (per escludere o limitare la necessità di una CTU). L’obbligo di riservatezza, di cui agli artt. 9 e 10 del D.Lgs nº 28/10, copre esclusivamente le dichiarazioni e le informazioni rese dalle parti, mentre la relazione tecnica effettuata in mediazione consiste in una motivata esposizione di accertamenti tecnico specialistici. 
La Giurisprudenza di merito ha già legittimato e ammesso la produzione in giudizio della Consulenza Tecnica in Mediazione (CTM) (cfr. da ultimo Tribunale di Verona ordinanza del 27/3/2023), e la Giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come nel vigente ordinamento, dominato dal principio del libero convincimento del giudice, non è a questi vietato porre a fondamento della propria decisione anche solo una perizia stragiudiziale, pur se contestata da controparte, purché sia fornita idonea motivazione (cfr. Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 12 dicembre 2011, n. 26550). L’analisi ricostruttiva effettuata permette quindi di rendere la consulenza tecnica effettuata in sede di mediazione funzionale al processo, consentendone, in caso di fallimento della mediazione, l’utilizzabilità nel giudizio in un’ottica di celerità e speditezza del processo e con ottimizzazione dei costi sostenuti dalle parti. La relazione tecnica effettuata in mediazione potrà avere accesso nel processo. Sarebbe preferibile, per evitare contestazioni, ottenere preliminarmente all’espletamento della C.T.M. il consenso delle parti all’utilizzabilità in giudizio e la rinuncia al vincolo di riservatezza, in modo da evitare usi strumentali ed esplorativi della consulenza. 
La mediazione è una procedura stragiudiziale di soluzione delle controversie e le parti tutte insieme possono autorizzare espressamente l’utilizzo dei documenti, tra cui la perizia, al di fuori della procedura di mediazione, cioè nell’eventuale processo seguito a quest’ultima, con il vantaggio di avere un risparmio in termini di costi e di tempo.
Affinché la perizia del CTM sia utilizzabile in giudizio, devono essere rispettate tre condizioni:
– la scelta del consulente tra i periti iscritti nell’albo presso un Tribunale,
– il rispetto del contraddittorio,
– l’assenza del riferimento a eventuali dichiarazioni delle parti in mediazione fatte al consulente.

Riflessioni conclusive.

Sebbene gran parte delle riflessioni qui condivise siano dedicate ai limiti imposti dal dovere di riservatezza, ritengo che tale principio sia una delle maggiori risorse dell’istituto della mediazione
Il ruolo del mediatore, infatti, è quello di mettere a proprio agio le parti e di farle sentire libere di condividere i reali aspetti sottesi alle proprie domande e richieste. Spesso il mediatore incontra ritrosia, le parti sono in imbarazzo e reticenti. È proprio nelle modalità con cui viene superato questo ostacolo che si differenza un buon mediatore da uno mediocre.
Il mediatore professionale e adeguatamente formato sa guadagnarsi la fiducia di tutte le parti, anche enfatizzando una delle migliori armi in proprio possesso: la riservatezza.
Solo in questo modo, in un ambiente sicuro e accogliente, le parti potranno spogliarsi da paure e preconcetti e, intraprendere, con serenità, il cammino verso la ricerca di una soluzione condivisa.

Sanzioni nuove e più aspre quelle della riforma del processo, che devono spingere l’avvocato a consigliare, ove possibile, la mediazione.

Il prossimo 30 giugno 2023 entreranno in vigore le ultime novità previste dalla riforma del processo civile in materia di mediazione, negoziazione assistita ed arbitrato. La novella normativa inasprisce le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione. Vediamo, quindi, quali sono le ragioni principali per le quali un avvocato, nel valutare la convenienza o meno di una causa, deve optare per una soluzione alternativa della controversia. (101mediatori.it)

Le novità

La riforma del processo civile incentiva gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in due modi:

attraverso la riforma profonda della mediazione, della negoziazione assistita e dell’arbitrato, l’estensione delle materie per questi istituti e la previsione di interessanti incentivi fiscali e agevolazioni per chi vi ricorre;

con la previsione di aggravamenti sanzionatori nei confronti di chi intraprende cause pretestuose e dilatorie, andando ad aggravare la situazione, già difficile, del contenzioso civile. 

Il nuovo articolo 12 bis

 Con l’inserimento del nuovo art. 12 bis, è stabilito che:

  • il Giudice possa desumere argomenti di prova in giudizio, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro di mediazione;
  • quando la mediazione è condizione di procedibilità, il Giudice condanni la parte che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento al bilancio dello Stato del doppio del contributo unificato;
  • all’esito del giudizio, sempre nei casi di mediazione obbligatoria o demandata, il giudice possa condannare la parte soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al massimo delle spese del giudizio maturate dopo la conclusione della mediazione;
  • nel caso poi in cui il soggetto assente in mediazione senza giustificato motivo sia una pubblica amministrazione, la novella prevede che il Giudice trasmetta al Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti la copia del provvedimento di condanna al doppio del contributo unificato.

Restano sostanzialmente analoghe le conseguenze (art. 13) in ordine alla condanna alle spese per la parte anche vittoriosa nel giudizio che abbia rifiutato la proposta del mediatore.
Per quanto concerne invece il profilo delle conseguenze processuali del comportamento tenuto dalle parti in mediazione, la riforma introduce una massiva revisione del sistema di sanzioni attualmente delineato ai vigenti artt. 8, co. 4 bis e 13 D. Lgs. 28/2010.
Il nuovo art. 12 bis del D. Lgs. 28/2010 si concentra innanzi tutto sul tema delle conseguenze sul processo della mancata partecipazione al procedimento di mediazione, attualmente limitato soltanto alla possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c. e di condannare la parte costituita che, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Il nuovo assetto della disposizione è chiaramente finalizzato ad enfatizzare l’importanza della partecipazione al primo incontro di mediazione, da intendersi già come espletamento dell’attività di mediazione effettiva nella ridisegnata fisionomia della fase introduttiva del procedimento di mediazione. Invariata la possibilità di valutare il comportamento della parte come argomento di prova, la sanzione dell’importo corrispondente al contributo unificato viene invece raddoppiato.

La mancata accettazione della proposta del mediatore

Viene poi riproposta, ma riferita al tema delle conseguenze del comportamento della parte al primo incontro di mediazione, la sanzione oggi prevista dall’art. 13 del D. Lgs. 28/2010 per la mancata accettazione della proposta conciliativa, mediante la previsione della possibilità di condannare la parte soccombente al versamento di un importo doppio rispetto al contributo unificato versato, nonché al pagamento di una somma equitativamente determinata (comunque non superiore alle spese del giudizio). Addirittura, nel caso in cui parte sia una pubblica amministrazione, allorché il giudice prenda i provvedimenti sopra citati, il magistrato dovrà ora trasmettere al pubblico ministero presso la Corte dei Conti ed all’autorità vigilante competente il relativo verbale.
Si sarebbe potuto pensare di rivedere anche l’art. 13, rispetto al quale cambierà solo la rubrica “Spese processuali in caso di rifiuto della proposta di conciliazione”, meglio armonizzando l’istituto della proposta con il processo.
Del resto è ancora una chimera pensare di poter raffrontare l’esito del processo con le condizioni di cui alla proposta conciliativa, per la semplice ragione che il mediatore potrebbe averla formata sulla base dei reali interessi delle parti captati durante la fase esplorativa della mediazione, spesso divergenti dalle richieste avanzate dalle parti nel processo (il legislatore pare ignorare completamente i capisaldi del negoziato secondo il modello di Harvard), ovvero perché modellata su una logica transattiva di rinunce reciproche che non coinciderà mai con il contenuto di una sentenza, la quale, per definizione, non potrà essere che di accoglimento o di rigetto delle domande giudiziali.

Riflessioni conclusive

A ben vedere, la novella non ha tanto la funzione di realmente integrare la mediazione e il senso di una risoluzione negoziale delle controversie con il processo civile, ma di stimolare le parti a risolvere in mediazione la liteanziché affollare il già congestionato ruolo del giudice
Il rischio è tuttavia quello di veicolare un messaggio non del tutto corretto che spinge le parti a mediare non per convinzione, bensì sotto la minaccia di sanzioni. 
Finché l’approccio normativo alla mediazione resterà permeato dall’utilizzo in chiave punitiva, finché la disciplina che le riguarda non cesserà di piegare i comportamenti e le scelte fatte in sede stragiudiziale allo scopo di intimidire le parti e di farle desistere dal rivolgersi alla giurisdizione, non si potrà veramente parlare di complementarità e coesistenza delle due vie. Ben vengano, dunque, le disposizioni che mirano a incentivare il ricorso alla mediazione incidendo sui costi e, soprattutto, sulla capacità e sulla professionalità di coloro che offrono il relativo servizio.
La mediazione funziona quando il servizio è efficiente e i mediatori sono capaci, quando gli avvocati che assistono le parti sanno distinguere le occasioni in cui l’atteggiamento avversariale non paga, e sanno calarsi in un ruolo diverso. Allora non si tratta soltanto di aggiornare gli strumenti alternativi. Sarà pertanto indispensabile che lo Stato si impegni ad investire in maniera continuativa risorse adeguate a supportare i preziosi sistemi alternativi di risoluzione delle controversie.

L’effetto interruttivo del termine decadenziale ex art. 1337, comma 2, c.c. consegue, alla luce della lettera dell’art. 5, comma 6, non al mero deposito, ma alla comunicazione dell’istanza di mediazione

L’effetto interruttivo del termine decadenziale ex art. 1337, comma 2, c.c. consegue, alla luce della lettera dell’art. 5, comma 6, non al mero deposito, ma alla comunicazione dell’istanza di mediazione che spetta all’Organismo ma può essere effettuata anche a cura della parte istante.

L’effetto interruttivo del termine decadenziale ex art. 1337, comma 2, c.c. consegue, alla luce della lettera dell’art. 5, comma 6, non al mero deposito, ma alla comunicazione dell’istanza di mediazione che spetta all’Organismo ma può essere effettuata anche a cura della parte istante (101mediatori.it)

Tribunale di Torre Annunziata, sezione 1 civile, 20.06.2022, sentenza n. 1484, giudice Francesco Coppola

Nella presente controversia un condomino agisce in giudizio contro il condominio per far dichiarare la sospensione dell’efficacia e accertare e dichiarare la nullità di una delibera di assemblea condominiale. Il condominio eccepiva in via pregiudiziale l’inammissibilità della domanda in quanto l’istanza di mediazione, depositata il 15-3-2021, era stata comunicata, a mezzo pec e a cura dell’Organismo, in data 29-4-2021, ben oltre il termine decadenziale di trenta giorni stabilito dall’art. 1137 c.c. per l’impugnativa della delibera condominiale in questione, notificata il 20-2-2021. Anche a voler ritenere che tale effetto si produca dal deposito dell’istanza, la domanda sarebbe comunque tardiva. Nella specie, il verbale della mediazione, avente esito negativo, era stato depositato il 28-5-2021, per cui, secondo il convenuto, l’attrice avrebbe dovuto notificare l’atto di citazione, a pena di decadenza, entro i successivi sette giorni, e dunque entro il 4-6-2021, mentre invece aveva notificato la citazione in data 8-6-2021. Nel merito, il Condominio chiedeva il rigetto della domanda attorea.
Sul primo punto tribunale si pronuncia, in linea con l’orientamento maggioritario, stabilendo che l’effetto interruttivo del termine decadenziale ex art. 1337, comma 2, c.c. consegue, alla luce della lettera dell’art. 5, comma 6, non al mero deposito, ma alla comunicazione dell’istanza di mediazione (cfr. Cass. civ., sentenza n. 2273/2019, Tribunale di Palermo, n. 4951/2015; Tribunale di Roma, n. 3159/2021 e n. 13981/2019; Tribunale di Savona, 8-2-2019; Tribunale di Napoli, 4-12-2019, in diritto.it; Corte di appello di Milano, 27-1-2020, in condominioweb.com; Tribunale di Foggia, 1-10-2020, in (…)).
L’onere di comunicare l’istanza di mediazione di cui al richiamato art. 5, comma 6, incombe anche sulla parte istanteIn tal senso, depone una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della norma in esame: la possibilità, espressamente contemplata dall’art. 8, che la comunicazione ivi prescritta sia effettuata “anche a cura della parte istante”, deve essere consentita anche per la comunicazione di cui all’art. 5, comma 6. Diversamente opinando, la rimessione, al solo organismo di mediazione, di un’iniziativa così rilevante quanto agli effetti giuridici si porrebbe in contrasto con la piena disponibilità del diritto di difesa ex art. 24 Cost., poiché una comunicazione effettuata dall’organismo oltre il termine decadenziale sancito dall’art. 1137, comma 2, c.c., pregiudicherebbe il diritto di agire tempestivamente in giudizio da parte del titolare del rimedio, senza che quest’ultimo disponga di alcun potere d’impulso per scongiurare un effetto così lesivo della propria situazione giuridica.
Peraltro, dal riconoscimento del suesposto onere di comunicazione (anche) in capo all’istante discende l’effetto della decadenza dall’impugnazione della delibera condominiale, laddove tale comunicazione non sia effettuata entro il termine all’uopo prescritto dal richiamato art. 1137, comma 2, c.c.. Nel caso di specie, l’attrice ha depositato l’istanza di mediazione, presso l’Organismo di mediazione forense di Torre Annunziata, il 15-3- 2021, senza comunicarlo alla controparte chiamata. L’Organismo ha comunicato la domanda di mediazione, con la data di prima convocazione, il 29-4-2021, e dunque tardivamente, considerato che il verbale recante le deliberazioni impugnate è stato notificato all’attrice, a mezzo pec, il 20-2-2021.
Pertanto il tribunale dichiara l’inammissibilità della domanda giudiziale, per violazione del termine decadenziale di cui all’art. 1137, comma 2, c.c. Ogni altra questione resta assorbita.